Produzione mondiale di mais inferiore alle stime, ma comunque elevata
L’International grains council (Igc) ha tagliato nei giorni scorsi le stime sui raccolti mondiali di granoturco per la campagna 2016-17. Una correzione di oltre 3 milioni di tonnellate rispetto alle valutazioni di agosto che gli analisti dell’Organismo intergovernativo con sede a Londra hanno apportato nel loro ultimo Outlook, incorporando nel nuovo dato di previsione il peggioramento delle aspettative di resa in Europa e Cina. Questo quanto riporta un articolo pubblicato su L’Informatore Agrario, secondo il quale l’assetto, relativamente ai fondamentali, resta lo stesso, nonostante la correzione al ribasso.
Sarà sempre record quest’anno, osservano gli analisti, preannunciando a livello globale un’iperproduzione di oltre 1 miliardo di tonnellate.
Anche le scorte, nonostante la crescita dei consumi, tenderanno a consolidarsi. Si arriverà a fine campagna con 8 milioni di tonnellate in più nei centri di stoccaggio rispetto alle rimanenze indicate a inizio stagione. In previsione di un raccolto che da 970 milioni di tonnellate del 2015-16 dovrebbe portarsi, per l’esattezza, a quota un miliardo e 27 milioni, facendo segnare un aumento del 6%. Le condizioni, come accennato, sono tuttavia peggiorate, seppure limitatamente ad alcune zone di produzione.
In Cina, in assenza di un adeguato apporto idrico alle colture, si avrà una resa inferiore alle aspettative iniziali.
Stessa evidenza in Europa, specialmente in Francia, Italia e Romania. Le alte temperature e una prolungata fase di siccità hanno indotto gli analisti a rettificare il dato di produzione, ora indicato nella UE a 59,5 milioni di tonnellate (erano quasi 62 milioni ad agosto). Resta confermato invece il maxi raccolto degli USA, leader mondiale, che con 378,8 milioni di tonnellate dovrebbero portarsi al massimo storico. L’altro grande polo produttivo, rappresentato dalla Cina, assente però dal club dei Paesi esportatori da oltre 10 anni, subirà una decurtazione di circa 8 milioni di tonnellate. Basandosi sugli ultimi conteggi, il Dragone scenderà quest’anno a 217 milioni di tonnellate di produzione. Le disponibilità sono però ben più elevate, con un livello delle scorte che, a fine settembre, ha sfiorato la soglia dei 110 milioni di tonnellate.
A ingolfare silos e centri di stoccaggio sono stati finora i generosi incentivi, basati sul meccanismo del prezzo garantito, che Pechino ha assicurato agli agricoltori, decretandone solo da quest’anno la soppressione. La Cina dà il via all’export L’esigenza, adesso, è alleggerire i magazzini strabordanti di mais di vecchia produzione, anche per fare spazio ai nuovi raccolti. Un’operazione non semplice che, in via del tutto straordinaria, data l’eccezionalità della situazione, ha indotto il Governo ad autorizzare l’esportazione di mais, sia pure a due sole imprese del trade di proprietà dello Stato. Una mossa inattesa, che potrebbe innescare altri ribassi sui mercati mondiali, osserva il rappresentate governativo per il commercio americano, contattato dall’agenzia Reuters.
In una fase tra l’altro in cui negli USA si entrerà nel pieno delle trattative sul nuovo raccolto, di cui Washington punta a esportare un quantitativo record di 55 milioni di tonnellate, più di quanto venderà all’estero l’accoppiata Brasile- Argentina. L’altro aspetto da considerare è l’esigenza, quest’anno, di garantire un adeguato rapporto competitivo con le altre produzioni cerealicole destinate al circuito mangimistico. È ormai scontato infatti, data l’offerta pressante di frumenti foraggeri, che la concorrenza sui mercati internazionali tenderà a schiacciare ulteriormente i listini, comprimendo inevitabilmente i margini operativi delle aziende. Il deterrente dei bassi prezzi – scrivono ancora gli analisti britannici dell’Igc – non starebbe tra l’altro scoraggiando le nuove semine. Nella sua prima valutazione, limitata al gruppo dei Paesi produttori dell’Emisfero settentrionale, l’International grains council non si attende cambiamenti sostanziali nelle decisioni di investimento, con la conferma delle superfici a frumento anche in Europa, in mancanza di valide alternative soprattutto in Francia, Germania e Polonia.
Non è esclusa addirittura una crescita delle superfici nell’area del Mar Nero, dove gli attuali rapporti di cambio tra valute potrebbero in qualche modo compensare le riduzioni dei prezzi sui mercati internazionali. L’unico elemento di incertezza sono le condizioni climatiche. In Europa, ma soprattutto in Russia e Ucraina, la siccità sta rallentando le operazioni di semina. Negli USA al contrario è l’eccesso di umidità il principale fattore di ostacolo.
Potrebbe essere dunque prematuro parlare adesso di numeri. Considerando tra l’altro che, a fronte delle valutazioni rassicuranti dell’Igc, alcuni grandi trader internazionali si attendono un calo delle semine in USA nell’ordine del 5-7%, che altri Paesi produttori non riuscirebbero in questo caso a compensare.
L’International grains council (Igc) ha tagliato nei giorni scorsi le stime sui raccolti mondiali di granoturco per la campagna 2016-17. Una correzione di oltre 3 milioni di tonnellate rispetto alle valutazioni di agosto che gli analisti dell’Organismo intergovernativo con sede a Londra hanno apportato nel loro ultimo Outlook, incorporando nel nuovo dato di previsione il peggioramento delle aspettative di resa in Europa e Cina. Questo quanto riporta un articolo pubblicato su L’Informatore Agrario, secondo il quale l’assetto, relativamente ai fondamentali, resta lo stesso, nonostante la correzione al ribasso.
Sarà sempre record quest’anno, osservano gli analisti, preannunciando a livello globale un’iperproduzione di oltre 1 miliardo di tonnellate.
Anche le scorte, nonostante la crescita dei consumi, tenderanno a consolidarsi. Si arriverà a fine campagna con 8 milioni di tonnellate in più nei centri di stoccaggio rispetto alle rimanenze indicate a inizio stagione. In previsione di un raccolto che da 970 milioni di tonnellate del 2015-16 dovrebbe portarsi, per l’esattezza, a quota un miliardo e 27 milioni, facendo segnare un aumento del 6%. Le condizioni, come accennato, sono tuttavia peggiorate, seppure limitatamente ad alcune zone di produzione.
In Cina, in assenza di un adeguato apporto idrico alle colture, si avrà una resa inferiore alle aspettative iniziali.
Stessa evidenza in Europa, specialmente in Francia, Italia e Romania. Le alte temperature e una prolungata fase di siccità hanno indotto gli analisti a rettificare il dato di produzione, ora indicato nella UE a 59,5 milioni di tonnellate (erano quasi 62 milioni ad agosto). Resta confermato invece il maxi raccolto degli USA, leader mondiale, che con 378,8 milioni di tonnellate dovrebbero portarsi al massimo storico. L’altro grande polo produttivo, rappresentato dalla Cina, assente però dal club dei Paesi esportatori da oltre 10 anni, subirà una decurtazione di circa 8 milioni di tonnellate. Basandosi sugli ultimi conteggi, il Dragone scenderà quest’anno a 217 milioni di tonnellate di produzione. Le disponibilità sono però ben più elevate, con un livello delle scorte che, a fine settembre, ha sfiorato la soglia dei 110 milioni di tonnellate.
A ingolfare silos e centri di stoccaggio sono stati finora i generosi incentivi, basati sul meccanismo del prezzo garantito, che Pechino ha assicurato agli agricoltori, decretandone solo da quest’anno la soppressione. La Cina dà il via all’export L’esigenza, adesso, è alleggerire i magazzini strabordanti di mais di vecchia produzione, anche per fare spazio ai nuovi raccolti. Un’operazione non semplice che, in via del tutto straordinaria, data l’eccezionalità della situazione, ha indotto il Governo ad autorizzare l’esportazione di mais, sia pure a due sole imprese del trade di proprietà dello Stato. Una mossa inattesa, che potrebbe innescare altri ribassi sui mercati mondiali, osserva il rappresentate governativo per il commercio americano, contattato dall’agenzia Reuters.
In una fase tra l’altro in cui negli USA si entrerà nel pieno delle trattative sul nuovo raccolto, di cui Washington punta a esportare un quantitativo record di 55 milioni di tonnellate, più di quanto venderà all’estero l’accoppiata Brasile- Argentina. L’altro aspetto da considerare è l’esigenza, quest’anno, di garantire un adeguato rapporto competitivo con le altre produzioni cerealicole destinate al circuito mangimistico. È ormai scontato infatti, data l’offerta pressante di frumenti foraggeri, che la concorrenza sui mercati internazionali tenderà a schiacciare ulteriormente i listini, comprimendo inevitabilmente i margini operativi delle aziende. Il deterrente dei bassi prezzi – scrivono ancora gli analisti britannici dell’Igc – non starebbe tra l’altro scoraggiando le nuove semine. Nella sua prima valutazione, limitata al gruppo dei Paesi produttori dell’Emisfero settentrionale, l’International grains council non si attende cambiamenti sostanziali nelle decisioni di investimento, con la conferma delle superfici a frumento anche in Europa, in mancanza di valide alternative soprattutto in Francia, Germania e Polonia.
Non è esclusa addirittura una crescita delle superfici nell’area del Mar Nero, dove gli attuali rapporti di cambio tra valute potrebbero in qualche modo compensare le riduzioni dei prezzi sui mercati internazionali. L’unico elemento di incertezza sono le condizioni climatiche. In Europa, ma soprattutto in Russia e Ucraina, la siccità sta rallentando le operazioni di semina. Negli USA al contrario è l’eccesso di umidità il principale fattore di ostacolo.
Potrebbe essere dunque prematuro parlare adesso di numeri. Considerando tra l’altro che, a fronte delle valutazioni rassicuranti dell’Igc, alcuni grandi trader internazionali si attendono un calo delle semine in USA nell’ordine del 5-7%, che altri Paesi produttori non riuscirebbero in questo caso a compensare.