Le lavorazioni del terreno hanno svariate funzioni le più importanti delle quali sono il mantenimento di una buona struttura, contribuire alla lotta contro le malerbe, il determinare la formazione di un buon letto di seminache permetta alla piantina di emergere facilmente e all’apparato radicale di espandersi agevolmente. Le tecniche di lavorazione variano a seconda dell’ambiente, della tipologia di terreno, della precessione colturale, della tipologia di infestanti, del grado di inerbimento. Il terreno per la coltura di mais deve essere in grado di trattenere grandi riserve d’acqua senza che si creino ristagni, deve riscaldarsi facilmente e deve essere omogeneo.
Una buona struttura e l’assenza di suole superficiali e profonde è necessaria per il buon sviluppo dell’apparato radicale, cosa che permette alla coltura di resistere meglio alla siccità e di prelevare nutrienti anche in profondità. Le tecniche che permettono l’ottenimento di queste caratteristiche sono sia di tipo tradizionale sia quelle definibili di minima lavorazione.
Lavorazioni tradizionali
Nel primo caso la preparazione del terreno consta di un’aratura che permette una più facile penetrazione dell’acqua, l’interramento dei residui, dei fertilizzanti minerali dotati di scarsa mobilità, dei fertilizzanti organici, permette un controllo dell’entomofauna dannosa portando in superficie le forme svernanti in profondità, permette la determinazione di una buona struttura mediante esposizione del terreno al sole, al gelo e all’alternanza di disseccamento e umettamento.
Nei terreni argillosi l’aratura deve essere effettuata su terreno in tempera, possibilmente prima dell’inverno. I terreni che si costipano con facilità invece prediligono arature tardo-invernali o di poco precedenti la semina. La profondità dell’aratura varia a seconda della tipologia di terreno (più profonda per nei terreni pesanti), con tendenza in atto ad una sensibile diminuzione (oggi si tende a non far superare i 25-30 cm). All’aratura seguono le lavorazioni di preparazione del letto di semina, di tipo superficiale, che variano a seconda del tipo di terreno dalla semplice erpicatura ad alcuni passaggi con diverse tipologie di erpici, fresatrici e pareggiatori. La loro funzione può essere quella di rompere le zolle, livellare il terreno, sminuzzare la crosta o i residui superficiali, rassodare il terreno o renderlo più soffice. Tali lavorazioni devono essere eseguite possibilmente per tempo (anche un mese prima della semina) per rendere uniforme l’umidità dello strato superficiale e garantire quindi una migliore emergenza. La diffusione di attrezzi combinati permette di effettuare in un unico passaggio più lavorazioni superficiali, con risparmio di costi e minor compattamento del suolo.
Minima lavorazione o minimum tillage
La minima lavorazione, nata negli Stati Uniti negli anni della prima crisi petrolifera, si sta diffondendo anche negli altri paesi maidicoli con il principale fine di limitare i costi colturali preservando le rese e la struttura del terreno. Si parla di minimum tillage quando le tecniche colturali di preparazione del letto di semina constano fondamentalmente di un lavoro di sminuzzamento superficiale realizzato solitamente con un unico passaggio di fresatrice. Si parla di zero tillage quando non si effettua alcuna lavorazione e la semina viene eseguita su terreno sodo mediante attrezzature apposite. L’applicazione delle tecniche di minima lavorazione o non lavorazione consente risultati favorevoli in terreni in grado di autostrutturarsi. Nei terreni sabbiosi e limosi le tecniche tradizionali risultano ancora le più valide. Laddove si abbiano terreni particolarmente pesanti la minima o nulla lavorazione potrebbe avere effetti negativi sulle capacità di percolamento, con aumento di danni da ristagno, ritardi operativi ecc.