L’etimologia della parola “mais” non è chiara.
Una delle ipotesi è che derivi da “mahiz”, nome col quale gli indigeni Arahuaco che Cristoforo Colombo incontrò sull’isola che battezzò Hispaniola indicavano l’elemento dal quale traevano tanta parte della loro alimentazione. Quelle popolazioni, infatti, sfruttavano il mais in maniera razionale, totale, non ne buttavano via una sola parte: con spighe, foglie e gambi facevano bevande alcoliche, preparavano zucchero, nutrivano il bestiame e ricoprivano i tetti delle capanne; le pannocchie, se mature al punto giusto, venivano abbrustolite sul fuoco o macinate fino ad ottenere una poltiglia gialla, grossolana antenata dell’attuale farina da polenta.
Le pannocchie di mais ancora verdi, invece, venivano bollite o cotte sotto la cenere. L’archeologo statunitense MacNeish tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del Novecento individuò la culla della coltura nella grande valle messicana di Tehuacàn, nella regione di Oaxaca, dove vennero trovati i più antichi reperti archeologici del mais: piccolissime spighe con più di 5000 anni di età. Le infiorescenze femminili di tali reperti avevano raggiunto un grado di specializzazione che precludeva la possibilità di una naturale disseminazione. Quindi il mais ritrovato in Messico aveva già bisogno dell’uomo per la sua diffusione.
In generale si stima che il processo di domesticazione del mais sia iniziato tra 7500 e 12000 anni fa e un recente studio di genetica lo colloca più precisamente intorno a 9000 anni fa. Dal Messico il mais inizio rapidamente a diffondersi verso in tutto il centro e sud America, e la sua coltivazione ebbe un impatto fortissimo sull’alimentazione e sulla cultura delle popolazioni indigene precolombiane.
Durante il primo millennio d.c. la coltura si diffuse verso nord fino al Canada e verso sud fino in Argentina.
Grazie alla pressione umana, il mais si diffuse in epoca precolombiana nelle condizioni più varie. Nel XVI secolo, la coltivazione era diffusa a livello familiare in regioni che spaziavano dall’Equatore alle latitudini 50° N e 45° S, con altitudini che variavano da 0 a 4500 m s.l.m; in situazioni climatiche caratterizzate da temperature medie tra 15° e 45°C; con precipitazioni da 300 a 4000 mm/anno; e infine con durata del fotoperiodo da 12 a 16 ore/giorno durante la stagione colturale estiva.
Due sono le teorie più accreditate per l’origine selvatica del mais.
La prima, la più diffusa, vede nel teosinte (Zea mexicana (Schrad) Kuntze) il progenitore selvatico del mais. La seconda teoria vede in un mais selvatico ormai estinto l’antenato del mais domesticato. In ogni caso, il teosinte ha indubbiamente avuto un ruolo molto importante nell’evoluzione del mais, soprattutto in Messico, dove incroci tra mais e teosinte sono occorse per secoli e avvengono ancora oggi, con evidenti effetti sulla citologia e morfologia delle due specie.
La differenziazione del mais fu enormemente complessa e articolata, e coinvolse nella selezione, oltre ai tratti ereditari responsabili dell’architettura della pianta (robustezza del culmo, numero e dimensioni di foglie e nodi, infiorescenza), quelli relativi alla dimensione della cariosside, alla sua composizione e palatabilità e alla germinazione del seme.
Dopo la scoperta delle Americhe, il mais velocemente raggiunse l’Europa, l’Africa e l’Asia.
Appena arrivato in Europa, il mais era coltivato solo nei giardini dell’Andalusia, di Francia e Italia. In Italia la coltura è già fiorente a metà del Cinquecento, dove soppianta rapidamente miglio e panico divenendo la base dell’alimentazione dei contadini padani. L’esclusiva dieta a base di mais diverrà la causa del tragico dilagare, fino al termine dell’Ottocento, della più terribile malattia endemica delle campagne italiane, la pellagra.
In Africa, la maggior parte del mais deriva da successive introduzioni effettuate a partire dagli Stati Uniti, dal Messico e dalla costa orientale del Sud America.
La vera e propria diffusione del mais, comunque, si ebbe in Europa attorno al XVII secolo tra la Spagna, Francia, Italia, Penisola Balcanica, Ucraina, Caucaso, grazie al clima particolarmente favorevole presente in queste regioni.
Sebbene molte delle odierne razze di mais derivino da tipi sviluppati dai primi nativi agricoltori del Messico e del Centro e Sud America, un’eccezione unica è rappresentata dal mais giallo “dent corn”, sviluppato nel Nord-America post coloniale, e che domina nelle coltivazioni degli Stati Uniti, Canada ed Europa ancora oggi.
Nei primi anni del 1800, dall’ibridazione di due distinte razze di mais, la Northeastern Flints e la Virginia Gourdseed, e dai ripetuti incroci successivi, emerse la razza “Corn Belt dents”, la più produttiva del mondo. Le coltivazioni altamente selezionate tramite selezione massale di Corn Belt dents costituirono la base per i mais di alta produttività oggi diffusi in tutti i climi temperati e per la selezione per linea pura degli ibridi di mais.