Non si coltiva mais senza reddito
La riduzione del prezzo del mais e l’aumento dei costi di produzione, registrati nell’ultimo quinquennio, hanno ridotto notevolmente il reddito della coltura , spesso in perdita. Di conseguenza si è verificata, tra il 2012 ed il 2016, la riduzione di un terzo delle superfici investite a mais in Italia, ossia da 1.000.000 di ettari coltivati nel 2012 a 650.000 ettari nel 2016 ed è attesa un’ulteriore riduzione per il 2017. Questo l’intervento di Gianfranco Pizzolato, presidente di Aires e sostenitore di Assomais al convegno “Mais in Italy” tenutosi lo scorso 5 maggio nell’ambito del Food&Science Festival a Mantova.
«Nel il 2016 il valore delle importazioni nette ha superato i 5 milioni di tonnellate abbassando l’autosufficienza nazionale a poco più del 50% , determinando un costo per l’intera collettività .
Alla luce di questa situazione è chiaro che servono azioni puntuali e precise per evitare ulteriori riduzioni – ha detto Pizzolato.
Le azioni migliorative e propositive debbono coinvolgere tutti gli attori della filiera maidicola nazionale, aziende sementiere , produttori , cooperative, op, stoccatori, organizzazioni sindacali e trasformatori. Per questo occorre uscire dagli interessi dei singoli ed instaurare un nuovo clima all’insegna della collaborazione verso l’ obiettivo comune che non è solo quello di contenere la riduzione della coltura ma di renderla ancora redditizia .
Pertanto ben venga un Piano nazionale cerealicolo che fornisca indicazioni tecniche per la coltivazione del mais e che sia integrato da una Rete di confronto varietale, pubblica/privata (magari sullo stile francese). Tali azioni permetteranno agli agricoltori di scegliere l’ibrido più adatto alla propria condizione aziendale con l’obiettivo di migliorare la produzione e la sua redditività.
Lo stesso Piano dovrà evidenziare le caratteristiche del mais nazionale, essenziali per le produzioni agroalimentari dop (come salumi o lattiero-caseari) che prevedono nei loro disciplinari l’impiego di una quota di mais italiano.
Negli ultimi anni anche il rischio micotossine ha appesantito la coltivazione del mais. Questa problematica evidenzia, ancora una volta, la necessità di creare “rete”, tra gli operatori della filiera, utilizzando gli strumenti disponibili, come le linee guida del Mipaaf e intensificando le prove di campo (produzioni, sensibilità varietale, nuove tecniche NBTs, ecc).
Un’altra azione migliorativa potrebbe derivare da un sistema diverso di commercializzazione, ossia, il mercato del mais nel nostro paese è fortemente condizionato dal fatto che i grandi consumatori (mangimisti-amiderie-grandi complessi di filiera) non trovano nel nostro mercato la possibilità di acquistare mais con consegne differite nel medio-lungo periodo, a differenza del mercato estero, dove grandi cooperative, o commercianti sono maggiormente propensi a questo tipo di vendita e di commercio.
Il problema quindi è che i nostri produttori sono mediamente piccoli e numerosi, fortemente individualisti, però solo con il superamento dell’individualismo si potrà fare rete per rilanciare la coltivazione del mais nazionale e il suo pieno utilizzo, non solo nelle filiere dedicate».
La riduzione del prezzo del mais e l’aumento dei costi di produzione, registrati nell’ultimo quinquennio, hanno ridotto notevolmente il reddito della coltura , spesso in perdita. Di conseguenza si è verificata, tra il 2012 ed il 2016, la riduzione di un terzo delle superfici investite a mais in Italia, ossia da 1.000.000 di ettari coltivati nel 2012 a 650.000 ettari nel 2016 ed è attesa un’ulteriore riduzione per il 2017. Questo l’intervento di Gianfranco Pizzolato, presidente di Aires e sostenitore di Assomais al convegno “Mais in Italy” tenutosi lo scorso 5 maggio nell’ambito del Food&Science Festival a Mantova.
«Nel il 2016 il valore delle importazioni nette ha superato i 5 milioni di tonnellate abbassando l’autosufficienza nazionale a poco più del 50% , determinando un costo per l’intera collettività .
Alla luce di questa situazione è chiaro che servono azioni puntuali e precise per evitare ulteriori riduzioni – ha detto Pizzolato.
Le azioni migliorative e propositive debbono coinvolgere tutti gli attori della filiera maidicola nazionale, aziende sementiere , produttori , cooperative, op, stoccatori, organizzazioni sindacali e trasformatori. Per questo occorre uscire dagli interessi dei singoli ed instaurare un nuovo clima all’insegna della collaborazione verso l’ obiettivo comune che non è solo quello di contenere la riduzione della coltura ma di renderla ancora redditizia .
Pertanto ben venga un Piano nazionale cerealicolo che fornisca indicazioni tecniche per la coltivazione del mais e che sia integrato da una Rete di confronto varietale, pubblica/privata (magari sullo stile francese). Tali azioni permetteranno agli agricoltori di scegliere l’ibrido più adatto alla propria condizione aziendale con l’obiettivo di migliorare la produzione e la sua redditività.
Lo stesso Piano dovrà evidenziare le caratteristiche del mais nazionale, essenziali per le produzioni agroalimentari dop (come salumi o lattiero-caseari) che prevedono nei loro disciplinari l’impiego di una quota di mais italiano.
Negli ultimi anni anche il rischio micotossine ha appesantito la coltivazione del mais. Questa problematica evidenzia, ancora una volta, la necessità di creare “rete”, tra gli operatori della filiera, utilizzando gli strumenti disponibili, come le linee guida del Mipaaf e intensificando le prove di campo (produzioni, sensibilità varietale, nuove tecniche NBTs, ecc).
Un’altra azione migliorativa potrebbe derivare da un sistema diverso di commercializzazione, ossia, il mercato del mais nel nostro paese è fortemente condizionato dal fatto che i grandi consumatori (mangimisti-amiderie-grandi complessi di filiera) non trovano nel nostro mercato la possibilità di acquistare mais con consegne differite nel medio-lungo periodo, a differenza del mercato estero, dove grandi cooperative, o commercianti sono maggiormente propensi a questo tipo di vendita e di commercio.
Il problema quindi è che i nostri produttori sono mediamente piccoli e numerosi, fortemente individualisti, però solo con il superamento dell’individualismo si potrà fare rete per rilanciare la coltivazione del mais nazionale e il suo pieno utilizzo, non solo nelle filiere dedicate».