Da un punto di vista generale il mais si presta per molteplici utilizzi energetici e in modo particolare per la combustione finalizzata alla produzione di energia termica e/o elettrica; per la digestione anerobica, sempre finalizzata alla produzione di energia termica e/o elettrica, e per la produzione di etanolo e suoi derivati, da destinare soprattutto alla trazione. I tre campi applicativi possono considerare solo la granella e/o le rimanti parti della pianta.
Lo stocco, per esempio, potrebbe essere avviato a un processo di idrolisi per l’ottenimento di un substrato fermentiscibile idoneo per la produzione di etanolo; il tutolo potrebbe essere considerato un combustibile di un certo interesse per impianti di combustione di media/elevata taglia. Parlando di applicazioni energetiche, va tenuto presente anche la necessità, per le filiere agro-energetiche che di volta in volta vengono proposte, di perseguire bilanci energetici e ambientali sostenibili. Essendo il mais una coltivazione considerata da molti intensiva (elevati input soprattutto in termini di fertilizzanti e irrigazione) è quindi sempre consigliabile procedere a una verifica di questi aspetti.
Tratto da: “Il mais” – Coltura & Cultura, AA.VV., Script Edizioni
Combustione
La combustione consiste nell’ossidazione di una sostanza combustibile mediante l’ossigeno contenuto nell’aria. Il processo è fortemente esotermico e si svolge a temperature dell’ordine dei 1000-2000 °C. Negli impianti convenzionali, scopo della combustione è quello di produrre un flusso di gas caldi (prodotti della combustione) che vengono utilizzati per la produzione di vettori energetici (aria, vapore acqueo ecc.) che a loro volta possono alimentare un ulteriore processo (per esempio, produzione di energia elettrica mediante una turbina a vapore).
La combustione fa parte dell’ampia famiglia dei processi termochimici nella quale sono comprese la gassificazione e la pirolisi (processi destinati soprattutto alla produzione di un gas combustibile) e viene svolta in caldaie specializzate per la produzione di acqua calda, acqua surriscaldata, vapore, aria calda o olio diatermico. Le caldaie si differenziano soprattutto per la loro dimensione, che può essere molto diversa. Parlando di biomasse solide, per esempio, si può infatti spaziare dai piccoli dispositivi per il riscaldamento domestico (stufe o caldaie) della potenza di 5-30 kW termici alle grosse caldaie da 50-100 MW (migliaia di kW) a servizio di impianti dedicati per la produzione di energia elettrica verde (10-25 MW elettrici). Attraverso la combustione il mais può essere utilizzato con diverse modalità.
In dettaglio: – i residui (stocchi, foglie, tutoli, brattee), quale combustibile solido per caldaie di medio-grandi dimensioni. I residui possono essere utilizzati tal quali, o imballati o addensati in pellet o bricchette di diverse dimensioni; – la granella, quale combustibile con caratteristiche geometriche e fisico-chimiche particolarmente costanti idoneo anche per caldaie di piccole dimensioni, in sostituzione del pellet ottenuto con materiale ligneo; – i prodotti della lavorazione della granella (esempi: farine, amido ecc.) quali ingredienti e/o additivi per la produzione di pellet.
Tratto da: “Il mais” – Coltura & Cultura, AA.VV., Script Edizioni
Digestione anaerobica per la produzione di biogas
La digestione anaerobica consiste nella demolizione naturale della sostanza organica, attraverso l’azione di batteri, in una miscela di metano e anidride carbonica, che viene definita ormai universalmente biogas. Il contenuto di metano (CH4) può superare il 60% in volume.La trasformazione avviene in digestori, in assenza di ossigeno, in condizioni ottimali di temperatura (normalmente compresa tra circa 30 e 60 °C) e con i tempi necessari: 15-60 giorni o anche più. Tempi più brevi si riferiscono alle deiezioni zootecniche mentre quelli più lunghi ai vegetali. Il processo condotto su un carboidrato può essere rappresentato dalla seguente reazione semplificata:
C6H10O5 + H2O -> 3 CH4 + 3 CO2
Tipicamente il 30-60% dei solidi in ingresso nel digestore viene convertito in biogas.
Il co-prodotto di reazione è un refluo (spesso definito digestato) che consiste normalmente di fibre non digerite e di varie sostanze solubili in acqua.
Il digestato ha normalmente destinazione agronomica per recuperare le sostanze nutritive in esso contenute. Negli ultimi anni la digestione anaerobica rappresenta una tecnologia di crescente interesse per il settore rurale alla luce dei potenziali benefici ambientali ed economici che offre. Da questo punto di vista, il mais è una risorsa importante che esalta il principio del ciclo breve (ovvero limitate distanze tra la zona di produzione della materia prima e il luogo di conversione energetica), anche in relazione al ciclo dell’azoto. In aggiunta, nel caso di co-digestione con deiezioni animali, le emissioni di CH4 in atmosfera (tipiche degli stoccaggi dei liquami) vengono sensibilmente ridotte.
Da un punto di vista strettamente energetico, il fattore chiave è la produzione di metano che può essere convertita in elettricità attraverso motori endotermici (allo stato attuale rappresentano la tecnologia di riferimento). Va osservato che, essendo la produzione annuale di mais limitata a pochi mesi e invece il processo di fermentazione anaerobica continuo nel tempo, è necessario procedere allo stoccaggio della materia prima con le tradizionali tecniche di insilamento. Va inoltre osservato che l’uso del mais insilato offre risultati nettamente migliori rispetto all’uso del prodotto fresco, quindi non conservato. Prove sperimentali in questo senso evidenziano differenze anche del 25% e sono giustificate dal fatto che acidi lattico, acetico e formico, metanolo e altri alcoli sono precursori importanti per la formazione di CH4. Un’altra ragione risiede anche nella predecomposizione della fibra grezza durante l’insilamento (migliore disponibilità di nutrienti per gli organismi anaerobi). Le produzioni di metano per ettaro variano anche in funzione del periodo di raccolta. Diversi ricercatori indicano come ottimale un contenuto di sostanza secca del 30-35%. In queste condizioni il mais può essere insilato facilmente e offre elevate produzioni di biomassa. In dipendenza delle diverse varietà e periodo di raccolta la produzione di CH4 può variare tra quasi 6000 fino a massimi di 9000 m3/ha. In termini pratici, quindi, considerando produzioni medie di 6000 m3/ha di CH4 e disponendo di gruppi elettrogeni con rendimento medio dal combustibile all’energia elettrica ceduta alla rete del 30%, risulta possibile produrre annualmente oltre 17.000 kWh elettrici per ettaro di coltura.
Si tratta di valori molto elevati e non facilmente raggiungibili (tenendo conto delle taglie di impianto praticabili dalle aziende agricole o dalle loro aggregazioni) da altre tecnologie o filiere agro-energetiche. L’energia elettrica prodotta è riconosciuta rinnovabile e quindi suscettibile dell’applicazione dei Certificati Verdi, oltre che di tutte le eventuali agevolazioni previste per le energie rinnovabili. Va sottolineato che, in genere, gli impianti oggi proposti si basano sulla co-digestione di diversi materiali: normalmente liquami zootecnici, cascami vegetali di diversa origine (per esempio: prodotti ortofrutticoli o partite di cereali avariate) e coltivazioni energetiche, come il mais. Quest’ultimo è spesso visto come un materiale con ottime caratteristiche generali, stoccabile con relativa facilità e che quindi risolve i potenziali problemi derivanti dalla discontinuità qualitativa e massiccia degli altri materiali di input. Tecnicamente nulla vieta di pensare a impianti alimentati esclusivamente con coltivazioni energetiche, nei quali il mais svolge in ogni caso un ruolo determinante. Con input solo di origine vegetale, tuttavia, il processo si presenta più critico nella sua gestione e richiede adeguate conoscenze del processo biologico.
Tratto da: “Il mais” – Coltura & Cultura, AA.VV., Script Edizioni
Fermentazione alcolica per la produzione di etanolo
La fermentazione alcolica è un processo biologico finalizzato alla produzione di etanolo. Avviene a mezzo di lieviti che trasformano un substrato zuccherino in una soluzione alcolica. L’etanolo viene successivamente separato mediante distillazione ed eventualmente raffinato e/o trasformato per facilitare la relativa utilizzazione nel settore dei trasporti. Come materiali di partenza si utilizzano prodotti zuccherini (esempio: barbabietola), prodotti amilacei (come la granella di mais) o prodotti ligneo-cellulosici (come gli stocchi del mais). Negli ultimi due casi occorre precedere la fermentazione alcolica con una idrolisi enzimatica o chimica, in quanto amidi, cellulosa e lignina non sono attaccabili direttamente dai lieviti. Con riferimento a un carboidrato il processo può essere rappresentato dalle seguenti reazioni semplificate:
C6H10O5 + nH2O -> nC6H12O6 (idrolisi) nC6H12O6 -> 2nC2H5OH+ 2nCO2 (fermentazione alcolica)
Allo stato attuale della tecnica, gli impianti per l’idrolisi e/o fermentazione di prodotti vegetali sono commercializzati solo per substrati amidacei o zuccherini. Si prevede che gli impianti per l’idrolisi acida di materiali ligneocellulosici siano competitivi e quindi disponibili sul mercato nel medio termine; al momento sono operativi solo impianti pilota. È evidente l’interesse e le speranze verso queste soluzioni per il basso costo delle materie prime. Sono anche allo studio processi di tipo enzimatico che, se messi a punto, contribuirebbero a risolvere i problemi energetici e ambientali dei processi acidi. Di fatto, l’etanolo oggi disponibile sul mercato viene ottenuto quasi esclusivamente dalla canna da zucchero e dai cereali. Paesi leader sono il Brasile nel primo caso e gli USA nel secondo, dove viene utilizzata nella quasi totalità degli impianti granella di mais. I mercati sono in rapida espansione e anche in Italia si pensa di sviluppare questo tipo di produzione a partire soprattutto da mais e frumento. Come già riferito, l’etanolo viene ottenuto attraverso distillazione che, con i processi industriali standard, lascia un residuo di acqua (a livelli di decimi di punto percentuale). Ciò limita la miscibilità con le benzine a tenori normalmente inferiori al 15-20% al fine di evitare la separazione di due fasi che darebbe dei problemi nella rete distributiva. Per superare questo problema è necessario eliminare l’acqua residua con opportune tecnologie (un esempio è il setaccio molecolare) per ottenere etanolo anidro, oppure trasformare l’etanolo in ETBE (etere etil ter-butilico) attraverso l’utilizzo di isobutene. In questo caso, il contributo rinnovabile dell’etanolo è di circa il 47% in peso del prodotto finale. Un discorso a parte andrebbe poi fatto per l’utilizzazione. Miscele benzina-ETBE o benzina-etanolo fino a tenori del 5-10% circa non richiedono particolari accorgimenti. Tenori superiori, invece, richiedono motori dotati di opportuni dispositivi. Tuttavia va sottolineato che lo sviluppo dell’iniezione elettronica permette oggi dei facili adattamenti, come evidenzia l’esperienza brasiliana. Va osservato che in termini di volume il contenuto energetico dell’etanolo (circa 21 MJ/l, potere calorifico inferiore) è circa il 65% di quello della benzina (circa 33 MJ/l). Il mais, quindi, attraverso la granella si presenta oggi come una delle principali coltivazioni per la produzione di etanolo. Attraverso l’utilizzo delle altre parti della pianta si presenta anche come una coltivazione di prospettiva una volta che saranno rese commerciali le tecniche di idrolisi acida o enzimatica. Nel caso della granella, la produttività è legata al contenuto di amido (mediamente, con la tecnologia attuale ne servono 1,6 kg per litro di etanolo) e con produzioni annue dell’ordine di 10 t si stima una produttività media di circa 3900 l di etanolo per ettaro. Accanto alla produzione di alcol, si ottiene il residuo di distillazione (borlande) che viene normalmente essiccato per ottenere il cosiddetto DDG o DDGS (dried distilled grain o dried distilled grain with solubles) che trova impiego come alimento zootecnico. In definitiva, da 1 t di granella di mais si ottengono 390 l di etanolo (circa 312 kg) e 300-350 kg di DDG/DDGS. Il bilancio di massa viene chiuso dalla produzione di CO2 del processo di fermentazione alcolica che viene normalmente rilasciata in atmosfera. Il processo è notevolmente energivoro, in particolare a causa delle operazioni di distillazione e concentrazione/disidratazione delle borlande per la produzione di DDG/DDGS. Allo stato attuale della tecnica si utilizzano infatti circa 0,4 kWh elettrici e 4 kg di vapore per litro di etanolo. È quindi fondamentale una corretta progettazione degli impianti e preferibilmente la loro integrazione con altri processi (per esempio, produzione di energia elettrica), in modo da conseguire delle ottimizzazioni di carattere generale. In ogni caso si stima che mediamente per ogni litro di prodotto si consegua un saldo energetico netto di circa 5,9 MJ (28% del contenuto energetico dell’etanolo), includendo anche tutte le operazioni agricole e i prodotti chimici necessari. In pratica, per ogni unità energetica investita nella produzione del mais e la sua lavorazione, si ottengono 1,3 unità energetiche sottoforma di combustibile disponibile per la trazione.
Tratto da: “Il mais” – Coltura & Cultura, AA.VV., Script Edizioni