Assosementi: importante continuare a puntare sul mais
13 febbraio 2015
La coltura del mais in Italia ha messo a segno uno straordinario sviluppo della produttività, passando da produzioni di poco inferiori a 20 q.li per ettaro fino agli anni ’50, prima dell’avvento degli ibridi, a rese medie superiori ai 90 q.li degli ultimi vent’anni. Le produzioni italiane per ettaro si sono tuttavia stabilizzate, le superfici coltivate a mais stanno diminuendo e la bilancia commerciale ha visto le importazioni balzare in dieci anni da un fisiologico valore del 5% ad oltre il 35%, un terzo del fabbisogno di granella. Lo ha messo in evidenza Assosementi, intervenendo con il presidente della Sezione colture industriali, Giuseppe Carli, alla Giornata del mais 2015 organizzata dal CRA a Bergamo.
“Il mais è una coltura che ha incontrato grande successo in Italia e dalle enormi possibilità – ha dichiarato Carli. Tuttavia in questi ultimi anni i coltivatori hanno perso un po’ di entusiasmo, trovandosi ad affrontare una serie di difficoltà come la questione nitrati, la limitazione delle conce, la comparsa della Diabrotica e la presenza di micotossine, che si sono aggiunte alle frequenti crisi di mercato ed alle annate troppo siccitose o piovose. Si parla esageratamente di cibo e della qualità del nostro agroalimentare, così come della biodiversità, in questi giorni che ci stanno avvicinando all’EXPO di Milano, ma il timore è che si stiano perdendo di vista i valori fondamentali. E il mais è uno di questi, essendo alla base di diverse nostre eccellenze agroalimentari come prosciutti e formaggi DOP”.
“E’ vero che la maiscoltura del nostro paese non può avere accesso alle varietà biotech, tuttavia la ricerca genetica tradizionale ha continuato a progredire e a mettere a disposizione degli agricoltori varietà sicuramente diverse e migliori rispetto a quelle del passato. Per trarre vantaggio da questo potenziale e recuperare produttività, è necessario – ha continuato Carli – che gli agricoltori implementino le nuove tecniche colturali a disposizione per aumentare la resa media per ettaro e realizzino un prodotto di qualità da destinare ad impieghi diversi. In questo contesto le filiere debbono organizzarsi per riuscire a cogliere le opportunità del mercato e offrire un prodotto finale con le caratteristiche richieste”.
Secondo le statistiche ufficiali, le superfici investite a mais da granella in Italia sono passate dai circa 2 milioni di ettari dei primi decenni del 1900, ai 750.000 ettari della fine degli anni ’80. Poi, grazie agli aiuti PAC, la superficie è risalita, fino stabilizzarsi poco sopra 1 milione di ettari. Le ultime tre campagne hanno tuttavia registrato una flessione, fino agli 870.000 ettari accertati dall’ISTAT nel 2014. Il mais è capace di arrivare a produrre oltre 1.000 volte il quantitativo di seme impiegato per ettaro, con un consumo idrico – contrariamente a ciò che si pensa – inferiore a quello di altri cereali.
13 febbraio 2015
La coltura del mais in Italia ha messo a segno uno straordinario sviluppo della produttività, passando da produzioni di poco inferiori a 20 q.li per ettaro fino agli anni ’50, prima dell’avvento degli ibridi, a rese medie superiori ai 90 q.li degli ultimi vent’anni. Le produzioni italiane per ettaro si sono tuttavia stabilizzate, le superfici coltivate a mais stanno diminuendo e la bilancia commerciale ha visto le importazioni balzare in dieci anni da un fisiologico valore del 5% ad oltre il 35%, un terzo del fabbisogno di granella. Lo ha messo in evidenza Assosementi, intervenendo con il presidente della Sezione colture industriali, Giuseppe Carli, alla Giornata del mais 2015 organizzata dal CRA a Bergamo.
“Il mais è una coltura che ha incontrato grande successo in Italia e dalle enormi possibilità – ha dichiarato Carli. Tuttavia in questi ultimi anni i coltivatori hanno perso un po’ di entusiasmo, trovandosi ad affrontare una serie di difficoltà come la questione nitrati, la limitazione delle conce, la comparsa della Diabrotica e la presenza di micotossine, che si sono aggiunte alle frequenti crisi di mercato ed alle annate troppo siccitose o piovose. Si parla esageratamente di cibo e della qualità del nostro agroalimentare, così come della biodiversità, in questi giorni che ci stanno avvicinando all’EXPO di Milano, ma il timore è che si stiano perdendo di vista i valori fondamentali. E il mais è uno di questi, essendo alla base di diverse nostre eccellenze agroalimentari come prosciutti e formaggi DOP”.
“E’ vero che la maiscoltura del nostro paese non può avere accesso alle varietà biotech, tuttavia la ricerca genetica tradizionale ha continuato a progredire e a mettere a disposizione degli agricoltori varietà sicuramente diverse e migliori rispetto a quelle del passato. Per trarre vantaggio da questo potenziale e recuperare produttività, è necessario – ha continuato Carli – che gli agricoltori implementino le nuove tecniche colturali a disposizione per aumentare la resa media per ettaro e realizzino un prodotto di qualità da destinare ad impieghi diversi. In questo contesto le filiere debbono organizzarsi per riuscire a cogliere le opportunità del mercato e offrire un prodotto finale con le caratteristiche richieste”.
Secondo le statistiche ufficiali, le superfici investite a mais da granella in Italia sono passate dai circa 2 milioni di ettari dei primi decenni del 1900, ai 750.000 ettari della fine degli anni ’80. Poi, grazie agli aiuti PAC, la superficie è risalita, fino stabilizzarsi poco sopra 1 milione di ettari. Le ultime tre campagne hanno tuttavia registrato una flessione, fino agli 870.000 ettari accertati dall’ISTAT nel 2014. Il mais è capace di arrivare a produrre oltre 1.000 volte il quantitativo di seme impiegato per ettaro, con un consumo idrico – contrariamente a ciò che si pensa – inferiore a quello di altri cereali.