Sempre più soia e meno mais negli USA
Il mais, prodotto per eccellenza dell’agricoltura «made in Usa», potrebbe cedere il passo alla soia: i coltivatori americani la prossima stagione contano di dedicare al legume 88 milioni di acri (35,6 milioni di ettari), un’estensione di terreno mai raggiunta nella storia. Nelle intenzioni di semina appena aggiornate dall’Usda, il mais è ancora la coltura dominante, con 90 milioni di acri (36,41 milioni di ettari). Ma un vantaggio così ridotto rischia di essere cancellato quando dalle parole si passerà ai fatti. Questo quanto riporta un interessante articolo a firma Sissi Bellomo su Il Sole 24 Ore.
L’articolo sostiene che negli Stati Uniti i cereali, dopo gli eccessi produttivi e la pesante caduta dei prezzi degli ultimi anni, saranno trascurati. I terreni a riso si ridurranno del 17% e i campi di grano – dopo che le quotazioni a Chicago sono crollate ai minimi da un decennio l’estate scorsa – occuperanno un’area di appena 46 milioni di acri, ancora meno di quanto l’Usda prevedeva a novembre e la più piccola da un secolo. Anche le rese sono attese in calo, col risultato che il raccolto di grano negli Usa dovrebbe ridursi del 20%, a sole 50 tonnellate, il 20% in meno rispetto alla stagione in corso e il più scarso dal 2007.
Le ragioni del successo
Il successo della soia tra gli agricoltori statunitensi si spiega facilmente. Il prodotto viene pagato meglio: al Cbot i semi si sono apprezzati del 14% l’anno scorso (a fronte del -2% del mais e del -13% del grano) e nel 2017 sono in rialzo di quasi il 20%, sopra 10 $/bushel. I future per consegna a fine anno (quelli del nuovo raccolto) indicano che la soia vale 2,6 volte il mais, il rapporto più favorevole dal 1997. Inoltre il legume è più facile ed economico da coltivare e sembra meno esposto ai rischi di guerre commerciali, che con la presidenza Trump minacciano di acuirsi (il Messico è uno dei maggiori acquirenti di mais Usa): tutti vantaggi che diventano ancora più importanti in tempi di crisi come quelli attuali.
Le entrate degli agricoltori Usa sono in calo per il quarto anno consecutivo, di un ulteriore 9%, fa sapere l’Usda, e a 62,3 miliardi di dollari sono più che dimezzate rispetto al picco del 2013. Le difficoltà hanno indotto non solo a una rotazione delle colture, ma anche a un abbandono di terreni: le aree coltivate si ridurranno dell’1,4% a 249 milioni di acri.
Il mais, prodotto per eccellenza dell’agricoltura «made in Usa», potrebbe cedere il passo alla soia: i coltivatori americani la prossima stagione contano di dedicare al legume 88 milioni di acri (35,6 milioni di ettari), un’estensione di terreno mai raggiunta nella storia. Nelle intenzioni di semina appena aggiornate dall’Usda, il mais è ancora la coltura dominante, con 90 milioni di acri (36,41 milioni di ettari). Ma un vantaggio così ridotto rischia di essere cancellato quando dalle parole si passerà ai fatti. Questo quanto riporta un interessante articolo a firma Sissi Bellomo su Il Sole 24 Ore.
L’articolo sostiene che negli Stati Uniti i cereali, dopo gli eccessi produttivi e la pesante caduta dei prezzi degli ultimi anni, saranno trascurati. I terreni a riso si ridurranno del 17% e i campi di grano – dopo che le quotazioni a Chicago sono crollate ai minimi da un decennio l’estate scorsa – occuperanno un’area di appena 46 milioni di acri, ancora meno di quanto l’Usda prevedeva a novembre e la più piccola da un secolo. Anche le rese sono attese in calo, col risultato che il raccolto di grano negli Usa dovrebbe ridursi del 20%, a sole 50 tonnellate, il 20% in meno rispetto alla stagione in corso e il più scarso dal 2007.
Le ragioni del successo
Il successo della soia tra gli agricoltori statunitensi si spiega facilmente. Il prodotto viene pagato meglio: al Cbot i semi si sono apprezzati del 14% l’anno scorso (a fronte del -2% del mais e del -13% del grano) e nel 2017 sono in rialzo di quasi il 20%, sopra 10 $/bushel. I future per consegna a fine anno (quelli del nuovo raccolto) indicano che la soia vale 2,6 volte il mais, il rapporto più favorevole dal 1997. Inoltre il legume è più facile ed economico da coltivare e sembra meno esposto ai rischi di guerre commerciali, che con la presidenza Trump minacciano di acuirsi (il Messico è uno dei maggiori acquirenti di mais Usa): tutti vantaggi che diventano ancora più importanti in tempi di crisi come quelli attuali.
Le entrate degli agricoltori Usa sono in calo per il quarto anno consecutivo, di un ulteriore 9%, fa sapere l’Usda, e a 62,3 miliardi di dollari sono più che dimezzate rispetto al picco del 2013. Le difficoltà hanno indotto non solo a una rotazione delle colture, ma anche a un abbandono di terreni: le aree coltivate si ridurranno dell’1,4% a 249 milioni di acri.